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18 febbraio 2025

Chiesa di Santa Domenica V. e M. – Cronistoria dell’ultimo secolo.

Sono passati ormai 3 anni anni da quando, in data 24 dicembre 2021, è stata emanata l’ordinanza di chiusura, a garanzia della pubblica incolumità, della nostra chiesa madre. Nella notte precedente si erano infatti verificati alcuni crolli di intonaco nella zona del transetto e dell’abside. Un edificio di culto, la chiesa matrice, che da sempre ha fatto parte della vita dei mandanicesi; essendo luogo di aggregazione e fulcro di vita religiosa. Nell’ultimo secolo la storia di questo monumento si rivela essere particolarmente travagliata e risulta interessante ripercorrere questi decenni, avendo così una visione d’insieme.

La prima testimonianza utile, che ci permette di iniziare l’excursus, è quanto scritto da un illustre visitatore. Stiamo parlando di Gaetano La Corte Cailler (1874-1933), direttore del Museo Civico di Messina. Ricercatore di storia e appassionato di arte, si interessò tanto al patrimonio della nostra provincia. La Corte Cailler visitò molti centri della nostra zona, armato di macchina fotografica, e sul suo diario di viaggio realizzò dettagliate descrizioni di tutto ciò che visitava. Venendo a Mandanici, il 2 giugno 1903, visitò pure la chiesa madre. Si riporta fedelmente la relativa descrizione: "è la Chiesa Madre di Mandanici, chiesa ampia, a tre navate, con colonne, stucchi ed affreschi (sbiaditi assai) sul secondo ordine in quadroni. Il prospetto è grazioso per il suo campanile a torre con griglia superiore, e per la porta ch'è fiancheggiata da due colonne che sorreggono un buon fregio del '500. Il tetto della chiesa è in legname a cassettoni e pare del '600; 1693 è la data sull'arco dell'altare maggiore, e 1696 quella sulla sepoltura dei prati dove è, ad altorilievo, un prete dormiente scolpito a mezza figura. Di quadri, all'altare maggiore è una S. Domenica su tela, discreta cosa; a sinistra invece è, sopra al terzo altare, una piccola tavola a fondo dorato, di stile bizantino, con la testa di una Madonna che i fedeli chiamano dei Pericoli ed ai lati la solita leggenda in greco MP-OY. Sopra questo altare, sulla parete, è una bella tavola di scuola messinese del '400 esprimente la Madonna sedente col bambino. Proviene dai Basiliani della chiesa venduta al Mazzullo, ed è S. Maria detta di Mandanici. È alta circa 2 metri e in mediocre stato di conservazione. Dietro l'altare maggiore, è un ripostiglio di quadri e cose vecchie; al muro è degna di molta considerazione una S. Domenica su tavola, figura intera in piedi, con ai lati otto quadretti in due striscie perpendicolari. L'icona è circa m. 1,30 × 1 ed è importante: pare della metà del '400." Leggendo quanto riportato, la nostra curiosità viene stimolata dalla tela bizantina cui si fa riferimento, della quale si sono perse le tracce da tempo immemore, ma anche dagli affreschi “sbiaditi assai”, oggi totalmente assenti. Questa è di fatto l’unica testimonianza che ci descrive l’edificio di culto prima del 1908, che forse è un po' lo spartiacque della nostra storia. Il 28 dicembre 1908 la terra trema, e una manciata di secondi sono sufficienti a fare di Messina un cumulo di macerie, e di morte. Si procede alla conta, interminabile, dei danni in città e anche nei comuni della provincia. A Mandanici, tutto sommato, ci andò bene. Qualche casa venne intaccata dalle scosse, non vi furono danni gravi, fatta eccezione per la chiesa Madre e per la chiesa della Trinità. Fu necessario cercare una nuova sede per il municipio, che a quel tempo si trovava proprio nell’ex convento adiacente alla Trinità. Il generale trambusto per il terremoto e le ovvie priorità del capoluogo di provincia fanno sì che i danni alla chiesa matrice passino in cavalleria. La Gazzetta di Messina e delle Calabrie, nella sua rubrica “Redattore viaggiante” scriveva:” Il popolo di Mandanici rivolge pubblico appello a S. E. l'Arcivescovo D'Arrigo perchè si voglia seriamente interessare del restauro di quella Chiesa Parrocchiale, ch'è una delle più importanti per antichità ed architettura della nostra provincia, e nello stesso tempo una delle maggiormente danneggiate dal terremoto del 28 dicembre 1908.” Si provvide con qualche intervento alla bene e meglio, ad opera delle locali maestranze. Un salto di un decennio ci porta ai primi anni ’20. Finalmente qualcuno si interessa, oltre alla Curia, l’ufficio del Genio Civile e la Regia Soprintendenza inviano dei tecnici a fare i sopralluoghi. Quello che, dapprima, sembrava un semplice intervento di consolidamento, rivelò invece una situazione ben più grave. Il progetto primitivo, che prevedeva una spesa di lire 40.200, doveva interessare i prospetti e la navata centrale. Tuttavia, come si evince dalla relazione inviata nel gennaio 1922 alla curia arcivescovile dall’Ing. Nunzio D’Andrea, i primi interventi sulle falde del tetto mostrarono gravi danni all’intera armatura lignea. Anni di infiltrazioni d’acqua, penetrate dalle numerose lesioni prodotte dal sisma del 1908, avevano intaccato le capriate, che non erano più in grado di sostenere il peso della copertura, tanto da essere necessario l’immediato puntellamento. Al fine di rinforzare l’intera struttura il D’Andrea proponeva (scelta che divenne effettiva) la demolizione dei soffitti delle navate laterali, e la costruzione di una soletta di cemento armato, sostenuta da nervature longitudinali. Non ci è dato sapere come fossero costruiti i soffitti laterali in precedenza a questo intervento, ma vennero giudicati non aventi carattere storico e artistico. Ciò che per fortuna venne salvato fu il tetto della navata centrale, il crollo fu impedito, e venne mantenuta la struttura delle capriate e dei cassettoni settecenteschi. Si rese necessario rinforzare le strutture del transetto e dell’abside, per cui vennero ricostruite alcune parti in cemento armato. “Forse per amore di quieto vivere”, come scrive l’ing. D’Andrea nella sua relazione, non erano state segnalate delle grosse crepe nella parte del transetto, per cui bisognò porre rimedio anche a queste. I lavori si protrassero fino al 1935, ad opera delle ditte di Lenzo Attilio di Mandanici e di Panarello Giuseppe di Messina, ma per fortuna non fu attuata l’iniziale ipotesi di demolizione. Non era cosa rara, a quel tempo, che gli edifici storici molto danneggiati venissero totalmente eliminati. In quel periodo furono molti i cambiamenti apportati agli interni; strati di intonaco ricoprirono le pareti, facendo sparire per sempre ciò che rimaneva degli affreschi citati dal Cailler, e molti elementi decorativi vennero eliminati per ragioni progettuali. Fonti attualmente non suffragate da documenti riferiscono che anche le colonne fossero decorate da stucchi. L’altare della Madonna dei Pericoli (terza cappella della navata sinistra) venne demolito, al suo posto venne realizzata l’icona con vetrina annessa della B.V. del Tindari, ancora sono presenti le decorazioni nella parte superiore della cappella, che fanno pensare ad un altare privilegiato. La seconda cappella sempre della navata di sinistra venne modificata per alloggiarvi la statua di Sant’Antonio di Padova. Si pensò anche di costruire quella stretta scala che accede al primo piano del campanile. Infissi in legno di ciliegio, realizzati dai locali artigiani, vennero installati su porte e finestre, eccenzion fatta per il portale e per le due porte laterali. Un’altra modifica fatta fu la rimozione dell’antica balaustra lignea che separava la navata centrale dal presbiterio. Gli intonaci esterni furono tutti ripresi, con l’impiego di malta cementizia. Per la torre campanaria, anch’essa molto danneggiata dal terremoto, bisognerà aspettare il 1955, quando fu fatto un altro sopralluogo dalla Soprintendenza ai BB. CC. . Negli anni ’60, precisamente a partire dal 1966, fu eseguita una nuova serie di interventi, per sistemare nuovamente il tetto e per completare ciò che non era stato attenzionato trent’anni prima. Le direttive del Concilio Vaticano II imposero una serie di cambiamenti, i quali vennero apportati in quella sede. L’antico pulpito settecentesco in legno intarsiato venne demolito, e si realizzò il primo altare “ad coram”, con un pregevole paliotto settecentesco; nel 1979 verrà sostituito dal definitivo altare marmoreo, con il particolare calice in onice del Pakistan sulla parte bassa. Nel frattempo, all’inizio degli anni ’50, era stato fatto l’allaccio alla rete 220 V. Il grande lampadario della navata centrale, “a ninfa”, venne adattato per inserirvi le 36 lampadine. Divenne così solo un ricordo quella scena dei sagrestani che abbassavano e alzavano il lampadario per poter accendere le candele. L’orologio, che era sprovvisto del quadrante, venne ammodernato e reso nuovamente funzionante. Fu aggiunto, negli anni successivi, l’impianto di filodiffusione con annessi altoparlanti sulla cima della torre. Le campane, che erano sempre state suonate a mano, a metà anni ’70 furono dotate di appositi gruppi elettro-meccanici. Un altro piccolo salto temporale ci porta alla fine degli anni ’90. Anni di intemperie e il tempo che passa irrimediabilmente resero necessari nuovi lavori di restauro, soprattutto per la facciata, dalla quale continuavano a distaccarsi tratti di intonaco e per l’interno, nel transetto continuava ad aumentare l’umidità. Ciò veniva evidenziato anche in un articolo sulla Gazzetta del Sud dell’11 novembre 1980. Una perizia della Soprintendenza del 1996 e la richiesta di un finanziamento all’U.E. da parte dell’amministrazione Briguglio in carica al tempo e della parrocchia permisero l’esecuzione di alcuni interventi. L’importo a base d’asta era di Lire 350.000.000 e la ditta esecutrice fu l’impresa Giovanni Camarda di Francavilla; su progetto redatto dall’Arch. Daniele Tefa. La facciata venne ritinteggiata con colorazione giallo paglierino e furono sostituiti tutti gli infissi. L’antico portale, nuovamente restaurato. I fondi ottenuti non permisero tuttavia il restauro degli stucchi, che hanno continuato, negli ultimi 20 anni, a deteriorarsi sotto l’azione di muffe e umidità. Nel 2007 alcuni crolli nell’area del catino absidale riaccesero i riflettori sulla situazione del duomo. Fu emessa ordinanza di chiusura di quella parte della chiesa, e venne rilevato che era necessario rifare il tetto dell’abside e del transetto; per la somma approssimativa di euro 55.000. Il sistema di smaltimento delle acque piovane risultava sottodimensionato. L’impresa incaricata fu la GI.TI. di Paternò, e la somma occorsa fu di 130.000 euro, molto superiore al primo preventivo. Controlli approfonditi eseguiti nel 2010 e nel 2013 mostrarono che la copertura della navata centrale era a rischio crollo, a causa di gravi deterioramenti delle capriate lignee. Fu confermata l’ordinanza emanata dal sindaco Armando Carpo in data 27 maggio 2010, con la quale veniva chiuso al pubblico e al culto il sacro edificio. Nell’ottobre 2015 la Soprintendenza di Messina affidò i lavori di restauro alla ditta RE.CO.IM. di Terme Vigliatore, previo ottenimento di un finanziamento di euro 120.000. I lavori, durati fino al 14 marzo 2016, interessarono prettamente le due falde della navata centrale e il transetto. Con una solenne cerimonia la chiesa venne riaperta in data 5 luglio 2016. Negli anni recenti (2018-2021), alcune tegole smosse sul transetto, e la manutenzione scarsa dei pluviali (per ovvi motivi di difficoltà di accedere alla copertura), hanno causato nuove infiltrazioni; queste ultime, aggiungendosi ai già presenti danni alla parete sopra l’arco trionfale che non era stato possibile restaurare, hanno intaccato gli stucchi e i decori. Nel dicembre 2021, una nuova ordinanza di chiusura è stata emanata, in attesa di finanziare ed eseguire la manutenzione. La recente notizia che riguarda il progetto esecutivo, fatto redigere dall’amministrazione comunale, in accordo con la parrocchia, ci fa ben sperare. Da quanto apprendiamo si sta cercando di procedere in maniera spedita, per poter eseguire nuovi ed accurati interventi di restauro. Attendiamo quindi di poter scrivere una nuova pagina di storia del monumento più importante del paese, con l’auspicio di vederlo tornare presto al suo antico splendore.

G. C.

Fonti:

 Archivio Diocesano di Messina: relazione dell’ing. D’Andrea del 10/01/1922, documento dell’Ufficio Tecnico Arcivescovile del 12/01/1935.

 Archivio della Soprintendenza ai Beni artistici e culturali di Messina.

 Gazzetta di Messina e delle Calabrie anni vari tra il 1908 e il 1922.

 Gazzetta del Sud dell’11/11/1980  La Sicilia del 18/01/2000

 Giornalino parrocchiale n.8 del 2000  Armando Carpo, “Mandanici sulle tracce del passato” pp.189-196, “Mandanici memorie da non perdere” pp. 264-265.

 Giovanni Molonia, “Comune e provincia di Messina nella storia e nell’arte”, trascrizione dei diari di viaggio di Gaetano La Corte Cailler.